Nel mio piccolo studio, in cui lavoro con i bimbi, la luce è accesa. Stiamo seduti insieme, coloriamo.
Spesso, in questo periodo, mi chiedono di disegnare per loro la "zucca di halloween".
Prendiamo colori accesi, arancione e giallo e subito sui fogli bianchi prende vita una macchia allegra. Poi facciamo piccoli pipistrelli.
I bambini chiedono a me di disegnarli, io rispondo loro che non sono molto brava, infatti vengono un po' storti. Loro ridono. Io sorrido.
Da fuori arriva il rumore della pioggia, coperto per un po' dalle nostre voci, dalle nostre risate.
Il corridoio è un po' buio, silenzioso. A volte c'è una candelina accesa.
I bambini spesso hanno un po' di paura ad attraversarlo, quando devono andare a prendere colla, fogli o altri materiali nell'armadietto fuori dalla nostra stanza.
Allora li prendo per mano e li accompagno e loro si sentono tranquilli.
Quando poi torniamo di là, a volte si confidano.
Mi chiedono di cosa ho paura io.
Spesso rispondo "del buio", è la prima cosa che mi viene in mente, forse perché un po' è vero. È anche un po' una metafora, in fondo. Il buio è anche tutto quello che non conosco, il futuro che non posso controllare.
Loro apprezzano e spesso ricambiano la confidenza.
Pipistrelli, ragni, serpenti, fantasmi, diventano, così, protagonisti dei loro racconti e finiscono poi su disegni, in piccole storie, filastrocche o altre strane invenzioni.
Alcuni si perdono, con grande gusto, in descrizioni dettagliate di insetti, vermi viscidi, pungiglioni, animaletti dai mirabolanti poteri velenosi.
Si sta così bene in quei pomeriggi.
Quasi non mi sembra di lavorare.
La paura, di qualunque cosa sia, diventa un mostro che può essere addomesticato.
Da terribile e incontrollabile quando è vissuto nella solitudine, in quei momenti si trasforma e diventa un mostriciattolo goffo e con le gambe storte, disegnato a tentoni su un foglio, tra qualche macchia vivace di arancione e di giallo. A vederlo così fa quasi ridere.
Il tremore delle candele, il silenzio e il
rumore della pioggia diventano una porta che si apre su quel mondo magico dell'infanzia, in cui le angosce più diverse si mescolano tra gli spazi della realtà e della fantasia, in un immaginario nebuloso, confuso e spesso difficile da portare alla luce.
Il buio, i mostri, i fantasmi, gli animali cattivi e pieni di pungiglioni, ciò che è nuovo e non conosciamo, i maestri severi che ci fanno sentire piccoli piccoli, i genitori spesso lontani come spettri irraggiungibili, i compagni cattivelli che ci fanno i dispetti, tutto si fonde in un' unica dimensione, in un grande calderone, tanto simile a quelli in cui quelle streghe brutte col naso adunco e il porro mescolano e rimescolano, creando spruzzi, scintille, colori fantastici e misteriosi.
Un universo denso di segreti e di misteri.
Il mistero della paura, che va a braccetto con quello della vita.
Ecco perché ci piaceva tanto, da bambini, quando ce ne stavamo in cucina con nonne e zie e aiutavamo a sbucciare i piselli e ci raccontavano quelle favole un bel po' spaventose.
Quelle col sangue, coi lupi che sbranavano, con Barbablù che chiudeva quelle mogli piccole come ragazzine nel castello e se ne andava lasciandole con quelle porte chiuse e quell' aria di mistero. Quella chiave insanguinata, quelle bambine piccole mandate da sole ad attraversare il bosco.
Che piacere quel piccolo brivido lungo la schiena, nella cucina calda con le nostre nonne, al sicuro!
Ci sembrava di scambiare con loro delle confidenze intime e quasi indecenti.
E forse era proprio così.
E il bello era che noi non dovevamo fare niente.
Ci venivano incontro loro per prime, con la loro esperienza antica e inconsapevole.
Ci parlavano di quello che nell'intimo del nostro cuore ci terrorizzava. Di tutto ciò di cui non osavamo parlare con nessuno, perché era troppo personale, "stupido" e socialmente inaccettabile per essere detto persino a mamma e papà.
La paura che un giorno non ci avrebbero voluto più bene e ci saremmo trovati da soli in un bosco, forse...la paura e l'attrazione fortissima per quello che era proibito e non si poteva toccare, come le porte di Barbablù. Che tentazione, che desiderio!
Forse è per questo che provavamo quel brivido, forse è per questo che era così bello.
Forse è per questo che quel brivido abbiamo provato a portarcelo un po' dietro anche quando eravamo più grandicelli e abbiamo fatto i primi pigiama-party, le prime serate fuori con gli amici, a mangiare schifezze intorno al fuoco e ci raccontavamo le storie di fantasmi e di assassini che mozzavano le dita delle mani.
A quell'età conservavamo ancora qualche residuo forse, qualche pezzetto di quella capacità di accedere con naturalezza al mondo magico dell'inconscio, di condividerlo senza vergogna. Di quella abilità di "chiedere" a chi avevamo intorno quella condivisione, quella partecipazione del terribile e dell'indicibile.
Quella capacità di ridurre i mostri sconosciuti a mostriciattoli un po' più familiari, più buffi, più umani, capaci quasi di strappare una risata e di sedersi intorno al fuoco a sgranocchiare le Fonzies insieme a noi, almeno per un po'.
Sì, Halloween è una festa americana.
Sì, è una roba consumista e un giro di denaro.
Ma ormai abbiamo così poco tempo per sbucciare i piselli con le nonne e per i racconti intorno al fuoco, che se un bimbo mi chiede di disegnare per lui una zucca stortignaccola io lo faccio volentieri.
Perché poi mi aprirà le porte di quel mondo per lui magico e sconosciuto che ha paura di affrontare tutto da solo, e io voglio entrarci per tenergli la mano almeno per un po', come quando li accompagno nel corridoio buio e silenzioso, in quei pomeriggi di pioggia.
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