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Le maledette strade della nostalgia


La nostalgia di quegli anni tra gli '80 e i '90 può essere disarmante.
Impossibile capire per quali strade può insinuarsi dentro di noi.

La voce di mio padre che commenta le cime imbiancate dei castelli romani è la stessa di mille anni fa, in quelle mattine.

Quelle mattine in cui tutto il mondo era più solido di quello di adesso.

Con quel rumorino di latte che bolliva e si appiccicava al tegame. Quasi sempre dimenticato, mentre ti infilavi sotto i pantaloni quelle calze di filanca elettriche che sfregavano contro la pelle e ti facevi "il ciuffo" con una spruzzata di lacca.

Quel rumorino era calore puro, in quelle mattine fredde.
Poi si formava la "panna" su quel latte dimenticato, a cui eravamo tutti troppo solidi e risoluti per essere intolleranti.

La panna si toglieva col cucchiaino mentre si inzuppavano quelle "macine, gocciole tortorelle, abbracci...". 
Raccoglievo i pensieri, facevo mente locale sulle interrogazioni e compiti in classe che mi aspettavano al di là di quei cento metri di strada tra campi e vigne pieni di brina.

Raccoglievo le forze e mi lasciavo calmare da quelle promesse di "uova fresche, latte bianchissimo, burro purissimo". 
Com'erano rassicuranti quei riferimenti campagnoli, così vicini a quando facevo il ciambellone con mamma, alla campagna di nonna...poi arrivava la voce di papà, uguale, come adesso.
"Sentito che freddo stanotte? Ha fatto la neve su tutte le montagne intorno. Ho alzato il riscaldamento".

C'era un gusto particolare. Non so se nel sapere che aveva fatto un freddo straordinario mentre tu te ne stavi sotto le coperte, o nel sapere che ci sarebbe sempre stato qualcuno che si sarebbe preoccupato di alzare il riscaldamento.
O forse la giornata sembrava più speciale perchè sapevi che tutto intorno "c'era la neve".

Fatto sta che mi sentivo sempre parte di un qualcosa, che cominciava con quel rumore di latte caldo nel tegamino di latta e mi accompagnava fino a quel banco ciancicato e pieno di scritte.
Forse di un mondo che si stava costruendo, un mondo pieno di speranze, con quei cantanti di "Cioè" che occhieggiavano dai giornaletti durante la ricreazione e facevano pensare a un futuro dove anche noi ragazze saremmo state tutte un po' come piccole rock star. Coi ciuffi duri di lacca, le felpe legate in vita.

Sembrava così in fondo.
Che il nostro futuro sarebbe stato diverso da quello delle nostre mamme, che ci parlavano di biscotti e di ciambelloni con le uova fresche.

Faceva anche un po' paura quel mondo, quando in tv facevano la pubblicità dell'aids in cui dicevano che "bisognava proteggersi con il profilattico" o in cui ti dicevano che quando camminavi su quelle strade di campagna innocenti dovevi stare attenta alle siringhe e ai drogati.

L'aria era buona però.
Era l'aria di noi ragazze che saremmo diventate "moderne", come Madonna, con quegli orecchini a cerchio che ci sfioravano le spalle. Che portavamo in tasca gli assorbenti della lines " ripiegati in pratiche bustine", che chiedevamo alle ripetenti della classe se "l'avevano fatto", se "gli era successo" e "com'era stato".

In quei freddi giorni di febbraio poi la sera c'era Sanremo.
Si poteva restare alzati fino a più tardi.

Era bello, era strano sentire quei cantati che cantavano di Marco che non c'era più, che era andata via con un treno e di ragazze che erano così brutte che non sembravano belle neanche col rimmel. Quel rimmel che su Cioè dicevano che ci avrebbe fatto diventare bellissime.
Erano un po'un incrocio tra Pippo Baudo e i cantanti di Cioè.
Con quei completi fuori misura con le cravatte, però un po' spettinati.
Per dire che erano sempre ragazzi per bene, della porta accanto, però erano pure un po' rock star. Se no noi ragazze moderne ci saremmo spaventate troppo.

Con quei pigiami sfrigolanti di acrilico con le stampe, finivano quelle giornate fredde, rincalzati nelle coperte. In quel mondo pieno di olio di palma e lattosio.

Se ti andava bene sognavi qualche cantante di quelli più spettinati, non quelli di Sanremo ma quelli col chiodo e con l'orecchino.
Oppure sognavi macine, gocciole e tortorelle bianche che ti inseguivano in una fattoria piena di siringhe per terra, in una campagna di periferia tipo quella di Alice nel Paese delle Meraviglie.

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